mercoledì 10 agosto 2016

MATA HARI - Ritratto








MATA HARI (Un film)
Regia di Rossana Patrizia Siclari
Soggetto e Sceneggiatura: Gianna Volpi
Con Elisabetta Gregoraci, John Savage,
Francesca Tasini, 
Marco Cocci, Fabio Fulco
Costumi originali di Enrica Barbano
Scenografia di Mario Arnaldi Fontana
Immagini virtuali di G. Volpi
Musiche a cura di Elisabetta Del Buono

Dalla redazione di

I suoi intensi occhi scuri, la carnagione olivastra,  il corpo flessuoso che muoveva con estrema eleganza,  i modi raffinati, la bellezza sensuale avrebbero fatto breccia nel cuore di Parigi. Lei, Margaretha Geertruida Zelle (Leeuwarden, 7 agosto 1876 – Vincennes, 15 ottobre 1917), di nascita olandese, figlia di un commerciante di cappelli, fingeva d’esse una principessa orientale. E il mondo, quello della Epoque, che viveva d’accese fantasie, non aveva nessuna intenzione di controllare documenti, avviare indagini per verificare l’identità, poichè il bello di quella Parigi euforica era una convenzione fiabesca: ognuno avrebbe assunto un’identità confacente alla personalità, potendo mutare la proprie origini e ridefinendosi, a livelli socialmente più alti, nel nuovo contesto.  Parigi così prostrò ai suoi piedi...
Ora dobbiamo chiederci il motivo per il quale la danza e la finale nudità della ballerina provocassero un tale inebriante stordimento nel pubblico, a partire dal 1905 e per l’intero decennio che avrebbe portato alla prima guerra mondiale. Le belle donne, che danzavano o esponevano se stesse nei postriboli di lusso, non mancavano certo. Ciò che colpiva, in Mata Hari, era l’apollinea levità, il distacco legato a uno status principesco e, al tempo stesso la contraddizione di quella naturalezza, che pareva davvero tutta esotica, nell’offrire visione completa del proprio corpo, delle forme ben plasmate lungo il metro e settanta di altezza.
Era leggiadra, bella, intensa; il suo sguardo non presentava alcuna torbidezza, ma si rivelava puro, virginale, nel brillio dello sguardo. La sua nudità sembrava fondersi con i principi cardine dell’universo; e pareva essere giunta davvero da lontano, da quella culla del mondo, cioè l’Oriente estremo dominato dalla cultura indiana, al quale con tanta intensità guardavano poeti, artisti e intellettuali. Mata Hari compì una rivoluzione di costume poichè dimostrava che l’apparire senza veli, in quel modo, non era nulla di estremamente peccaminoso;  ma semmai un peccato veniale; indicava la liceità sociale di un dolce spudoratezza che avrebbe potuto essere assunta anche dalle donne delle classi superiori.

6 Agosto 2016

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